1.000.000.000 di dollari di Carbon Credit, 25.000 posti di lavoro creati
A 500 anni dalla scoperta delle americhe, gianfranco paghera, da sempre attento alle problematiche ambientali e a quelle sociali, da vita, insieme al prete missionario gianni mometti ad un progetto nel progetto. il grande progetto di riforestazione amazzonia 501 abbraccia il sociale perchè si crei un ciclo di produzione ecologicamente compatibile e largamente sostenibile.
PROGETTO AMAZZONIA 501
PROGETTI MIRATI AGLI STATI CHE UTILIZZANO I CARBON CREDITS PER ABBATTERE L’INQUINAMENTO PROVOCATO DA CO2 (1.000.000.000 di dollari di Carbon Credit - 25.000 posti di lavoro creati)
Carbon credit è una forma di mercato, una “borsa” creata per fornire incentivi economici a chi vuole ridurre le proprie emissioni di gas ad effetto serra; borsa che però non utilizza come unità di misura una valuta come può essere il dollaro o l’euro per effettuare le transazioni, ma la CO2 espressa in tonnellate.
LO SCENARIO
Brasile, un paese sconfinato, coperto per più della metà della sua estensione dalla foresta pluviale. Un ecosistema vasto, complesso e variegato, caratterizzato da un’altissima biodiversità di specie animali e vegetali. Il suo nome questa foresta lo deve alle Amazzoni della tradizione greca, le mitiche donne guerriere discendenti del dio della guerra, Ares. Fu qui che Francisco de Orellana (1511-1546), esploratore e conquistador spagnolo, incontrò – secondo altri ne ebbe solo notizia - una tribù di donne guerriere. Ricordando le mitiche guerriere asiatiche, chiamò il grande fiume che si trovava ad attraversare Rio delle Amazzoni e di conseguenza la foresta Amazzonica.
Il Brasile è depositario e custode di questo enorme patrimonio verde, indispensabile alla sopravvivenza dell’intero pianeta. Il cuore della regione è attraversato dal Rio delle Amazzoni, il fiume più lungo del mondo che con i suoi affluenti costituisce anche il più grande sistema idrografico del pianeta per ampiezza di bacino e per portata.
Un territorio sempre in pericolo, minacciato dalla deforestazione selvaggia, provocata non solo dalla trasformazione agricola e a pascolo del suolo, ma anche dalle esplorazioni e dalle ricerche di giacimenti petroliferi e miniere metallifere da parte delle società di estrazione.
Queste hanno l’obbligo di provvedere al ripristino del territorio disboscato.
L’INTERVENTO PAGHERA
E proprio una di queste società contatta Paghera affidandogli il recupero ambientale di 50.000 ettari di foresta amazzonica. Nasce così il progetto Amazzonia 501: una vera e propria avventura affrontata con la consueta serietà e l’alta professionalità che contraddistingue il gruppo.
Un intervento che richiede uno studio approfondito dell’ambiente in cui ci si trova a operare, l’impiego di tecnologie sofisticate e mezzi adeguati. Il primo passo è l’analisi dello stato di fatto: composizione chimica del suolo, studio delle specie autoctone e delle condizioni climatiche. Tutti fattori che consentono di “capire” il luogo e di valutare adeguatamente le specie vegetali che verranno impiegate, dalle piante alte alle erbe piccole.
LA BANCA DEL SEME
Ubicato in Norvegia, a Longyearbyen, nell’arcipelago delle isole Svalbard, lo Svalbard Global Seed Vault, è una sorta cassaforte blindata dove migliaia di campioni di sementi provenienti da ogni angolo del pianeta sono conservati a una temperatura costante di meno 18 gradi per garantirne la sopravvivenza. Un deposito di sicurezza in caso di perdita botanica del “patrimonio genetico tradizionale” delle sementi.
Viene quindi organizzata direttamente in loco una Banca del seme, affiancata da un laboratorio tecnologicamente avanzato dove si approfondiscono gli studi sulle piante, prestando particolare attenzione al momento della loro germinazione. I semi selezionati vengono immersi in un composto ecologico di acqua, sostanze naturali e nutritive che favoriscono la contemporanea germinazione di più specie. La miscela ottenuta è ogni volta diversa, dipende dal tipo di intervento, dalle caratteristiche chimico fisiche del terreno e dalle condizioni climatiche del luogo.
LA DISTRIBUZIONE
Il composto viene quindi distribuito per aspersione con l’impiego di mezzi meccanici, per lo più elicotteri. Si viene così a creare un substrato ideale per la crescita delle piante, che germogliano nel medesimo intervallo di tempo e in tempi brevi. Gradatamente il territorio si ripopola di macchie verdi naturali, piccoli ecosistemi in grado di rigenerarsi e crescere fino a diventare foresta, in completa autonomia, seguendo il naturale corso dei cicli della natura, senza bisogno di altri interventi da parte dell’uomo.
PADRE GIANNI MOMETTI
IL PROGETTO NEL PROGETTO
Proprio mentre si sta dedicando al grande progetto di riforestazione, Paghera conosce Padre Gianni Mometti, un missionario che da molti anni lavora in Brasile aiutando i poveri e che gli chiede aiuto per realizzare insieme un progetto. Padre Mometti conosce bene l’Amazzonia, le grandi potenzialità della regione e i grandi problemi derivati dallo sfruttamento agricolo dei terreni adibiti a pascolo che hanno irrimediabilmente eroso ettari ed ettari di foresta, tutto a vantaggio dei grandi proprietari terrieri e a discapito dei più deboli che si trovano in estrema difficoltà.
L’idea è di creare numerose aziende locali gestite direttamente dai piccoli contadini, che diano sostentamento nel pieno rispetto dell’ambiente e senza tagliare un solo albero. La foresta è attraversata da grandi fiumi che d’inverno - spiega padre Mometti – in seguito alle piogge abbondanti, ingrossano e invadono le terre per chilometri e chilometri.
Al sopraggiungere dell’estate l’acqua si ritira e prosegue il suo corso nell’alveo originario. Le terre precedentemente invase dalle acque sono molto fertili e potrebbero essere coltivate producendo due raccolte di cereali all’anno, fondamentali per l’alimentazione della popolazione.
Il progetto prevede che ogni contadino riceva un appezzamento di terreno con i semi da piantare, in genere riso, un laghetto in cui allevare circa 10.000 avanotti di pesci tipici dell’Amazzonia, ormai in via di estinzione, e una ventina di maialetti. Tutti elementi indispensabili per creare un ciclo di produzione ecologicamente compatibile e sostenibile, infatti anche gli escrementi degli animali vengono riutilizzati, diventano concime per la terra e nulla viene sprecato.
In tal modo una famiglia può provvedere al proprio sostentamento e dopo qualche anno è in grado di restituire le stesse quantità di prodotto che gli è stato consegnato all’inizio e che verranno assegnate a un’altra famiglia, la quale, a sua volta, restituirà quanto dato e così via. Il sistema funziona - assicura padre Mometti - e ha sollevato numerose famiglie dall’indigenza.
L’entusiasmo proprio non gli manca, da oltre cinquant’anni lavora con i poveri e non ha mai perso la speranza, la grinta e la voglia di fare. Ha grande stima nei confronti di Paghera che l’ha aiutato nel progetto e non può fare a meno di ricordare anche Michele, ragazzo davvero in gamba, che nonostante la giovane età, era un punto di riferimento per tutti. Oggi i laghetti sono ormai più di 3500 e la situazione è migliorata per la popolazione, in particolare per i riberigni, come sono chiamati quelli che abitano in riva ai fiumi. Un appezzamento di terreno così composto dopo poco tempo renderebbe indipendente una famiglia e non solo. In pochi anni questa famiglia sarà in grado di riscattare la terra inizialmente concessa a titolo di proprietà dallo stato, grazie ai proventi ottenuti col proprio lavoro.
Nonostante il progetto vada avanti e si sia dimostrato che è possibile vivere nella foresta rispettandola, le voci che giungono dal Brasile non sono confortanti.
E’ di qualche mese fa la notizia che nella foresta amazzonica si è cominciato nuovamente a deforestare, dopo alcuni anni in cui il fenomeno aveva subito qualche rallentamento. Il governo ha reagito subito, adottando misure drastiche contro i folli tagliatori di alberi. Il nuovo rapporto della Commissione intergovernativa sul cambiamento climatico (Ipcc) dello scorso 13 aprile del resto parla chiaro: è indispensabile tagliare drasticamente le emissioni di CO2 e gas serra. Le tecnologie e gli strumenti ci sono, una soluzione esiste. Sarebbe importante attivare un processo di cooperazione internazionale, per coinvolgere tutti paesi. E’ stato ormai stimato i costi dei danni dovuti all’aumento delle temperature sarebbero molto maggiori rispetto alle possibili perdite di un’economia a basse emissioni di carbonio.
L’Ipcc, L’Intergovernmental Panel on Climate Chang (gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) è un organismo scientifico creato nel 1988 dalle Nazioni unite che ha come scopo lo studio del riscaldamento globale e dei cambiamenti climatici.